Riscoprire la saggezza che sa “stare”:
Vi ricordate i giorni del lockdown? I giorni delle misure restrittive? Ricordate che sofferenza stare chiusi in casa? Un periodo difficile non solo per le angosce legate al covid-19, ma anche per le separazioni dalle persone che amavamo. Per la mancanza di un sorrso amichevole che non fosse un sorriso degli occhi. O di un abbraccio.
Ebbene, in quei giorni, tutti noi, nessuno escluso, ha dovuto fare i conti con un aspetto fino a quel punto troppo sottovalutato. Le corse continue, le urgenze, gli spostamenti sempre più imposti dala società liquida in cui eravamo (e siamo ancora, purtroppo) calati. Tutto ciò che, nel tempo, ci aveva (e ha) privato di quella saggezza che solo lo “stare” avrebbe potuto dare. Stare nelle situazioni. Stare nelle sensazioni. Stare nelle emozioni (sì, anche nel dolore e nell’ansia) e nell’immobilità.
Eravamo (e siamo tornati a essere) talmente tanto abituati a muoverci come trottole continue che fermarci, in molti casi, ci è apparso quasi come una condanna. Allora, ci siamo arrovellati il cervello alla ricerca di qualche cosa da fare. Un modo alternativo di riempire il tempo rimasto vuoto dopo che la cornice, forse anche troppo rigida della routine, è andata in frantumi. E ci siamo trovati di fronte a una tela che non sapevamo più come riempire o come far reggere. Per curiosità: quanti chili di farina e bustine di lievito avete utilizzato per riuscire ad affrontare i mesi tra marzo e maggio 2020? Eppure…l’uomo non è fatto per stare in così perenne movimento…
L’uomo non è fatto per stare sempre in movimento…lo “stare” dei nonni
Eppure…l’uomo non è fatto per stare in così perenne movimento…
Ce lo ricordano ogni giorno i nostri nonni. I vecchiettini con il bastone o sulla sedia a rotelle. E le vecchiette sedute accanto al camino, con la copertina di lana a quadrettoni sulle ginocchia e l’ultimo lavoro a maglia, perennemente da finire, adagiato in grembo.
Sono loro i grandi maestri ai quali dovremmo saper “rubare” l’arte dell’immobilità fisica, la capacità e la saggezza dello “stare” soli a “tu per tu” con noi stessi senza la minima preoccupazione, immersi nei ricordi e negli attimi presenti. Tutti quegli aspetti che spesso e volentieri ci stancano e ci spaventano perché ripetitivi e monotoni. E dai quali fuggiamo o fuggiremmo volentieri per finire, poi, col dimenticarci che la nostra anima si sforza sempre di andare verso se stessa, compiendo movimenti di riflessione ciclici sempre intorno allo stesso punto: il nostro carattere. Quell’invisibile “immagine del cuore” che, per tutto il corso della vita guida la nostra esistenza. E che ci conduce ogni giorno in un gioco a spirale sempre più volto alla ricerca di noi stessi. Di chi siamo e vogliamo e possiamo essere. Quando si dice: “la lingua batte dove il dente duole”…
E allora…
Come la saggezza dei nonni ci aiuta a conoscere noi stessi:
Nosce te ipsum, diciamocelo come lo diceva l’oracolo di Delfi. Il compito più importante che siamo chiamati ad affrontare nel corso della nostra vita è conoscere noi stessi. E nessuno, meglio di un nonno, con la sua immobilità e la sua ricorsività, con i suoi aneddoti e le sue critiche, può insegnarci come farlo. Del resto, pensiamoci: nei romanzi, nei film, nelle epopee fantasy e nei miti del passato, chi veniva maggormente tenuto in considerazione per via della propria saggezza? Chi dava consigli?
L’anziano era e sempre sarà “colui che c’è già passato”, “colui che sa come certe cose possono andare a finire, perché le ha già transitate”. “Chi riconosce in anticipo gli esiti”.
La saggezza dei “nonni” letterari:
“Vorrei che l’Anello non fosse mai venuto da me”, lamenta Frodo nel “Il Signore degli anelli”, al vecchio amico dello zio. “Vorrei che non fosse accaduto nulla”. E quello, dall’alto della sua saggezza: “Vale per tutti quelli che vivono in tempi come questi, ma non spetta a loro decidere; possiamo soltanto decidere cosa fare con il tempo che ci viene concesso. Ci sono altre forze che agiscono in questo mondo…”.
Gandalf sa che cosa Frodo è destinato a essere e a quale scopo la vita lo sta chiamando. Per quanto pericoloso (e qui richiamiamo al pericolo nella sua matrice etimologica, ovvero a qualcosa che deve essere transitato) possa sembrare o inaccettabile possa essere anche per lui, il vecchio mago si assume questo ruolo. Guida. Accompagna. Consiglia. Illustra quell’eterno ricorso che porta sempre allo stesso punto: chi sei? Chi sono?
Se l’anima nel suo moto circolare raggiunge tutte le cose mentre vive la propria vita, come dice Plotino, allora ogni cosa, ogni momento possono offrirci intuizioni psicologiche. Nel suo moto circolare, l’anima ritorna sempre al medesimo punto, al medesimo tema centrale, il carattere: onore, dignità, coraggio, grazia, valori. Se le nostre azioni ci conducono troppo lontano in linea retta…non stiamo più girando intorno al problema che è centrale per l’anima. Allora nasce come un desiderio di ritornare a quelle cose centrali.
(James Hillman _ La forza del carattere, pag. 189)
Ritorno all’essenziale attraverso il racconto:
Non dimentichiamo, poi, che questo ritorno al centro è anche un ritorno alle cose essenziali, alle cose eterne. Un meccanismo di rivolgimento (o epistrophé) che ci permette di fornire un senso a tutto ciò che ci accade, offrendo un’idea di fondo capace di differenziare i fatti dall’anima e approfondire gli eventi in esperienze. Pensiamo a tutti i personaggi che popolano le storie, la favole e i miti che i nonni e gli anziani da sempre raccontano ai giovani per insegnar loro cosa sia il mondo e cosa sia la vita. Aneddoti del meraviglioso, come li definisce James Hillman, che non vanno però mai presi come storie reali. E che stimolano congetture che vitalizzano l’anima, restituendole la sua essenza immaginale, nutrendola cioè di immagini affini a se stessa.
Chi potrebbero essere, infatti, quei personaggi se non descrizioni di aspetti analoghi che abbiamo già dentro di noi? Chi potrebbero essere quei personaggi se non personizzazioni, eternalizzate dal racconto stesso, di aspetti che, in fondo in fondo, sembrano risuonare anche dentro di noi? Riconoscerli e nominarli, prenderli sul serio, come parti di noi con cui siamo chiamati a “stare” in contatto e di cui dobbiamo occuparci: è questo l’inizio della nostra conoscenza. Del resto a chi dovrebbe appartenere, se non a noi, quello che ci chiama e ci risuona (al pari di ciò che c’infastidisce)?
L’inizio della saggezza che sa “stare”:
Più ci stiamo in contatto, più lo comprendiamo. E’ così che inizia quella saggezza che da sempre tributiamo ai nostri anziani e che sempre dovremmo ricordarci di onorare nei nostri nonni. La saggezza che inizia proprio dall’immobilità. Non dalla fuga o dal movimento orizzontale nel mondo. Non dal riempirci le giornate di miriadi di cose da fare. Ma dall’immobilità. Come scrive Hillman, infatti: essere esonerati o possedere una ridotta capacità di movimento potrebbe rappresentare una della grandi benedizioni dell’età, perché consente alla vecchiaia il tipo di saggezza di chi non è coinvolto.
Detto in altre parole: è come se “lo stare”, in qualche modo, facilitasse una nuova modalità di vedere. Attraverso gli occhi della mente, in un’altra luce e da un’altra angolazione. Sono gli occhi dell’immaginazione che vedono l’essenziale in prospettiva e c’insegnano che esiste una verità più vasta, una capacità di comprensione più ricca. Che esiste un altro sapere, oltre quello, dimezzato, del mondo diurno. E questo sapere torna sempre all’anima. Torna sempre a noi, alla nostra essenza più pura.
Ritorno in patria: apertura al profondo.
Insomma i nonni ci spianano la strada per diventare noi stessi. Richiamandoci a loro, agli avi e agli antenati che li hanno preceduti, attraverso racconti e memorie, ci richiamano in patria, intesa qui come casa del padre, nel senso più puro di discendenza, e ci invitano a calarci nel nostro presente, nel posto che è nostro. A casa. Cioè: nel profondo dentro di noi. In questo senso, i nonni ci aiutano a crescere: facilitando la nostra discesa nel mondo che è sotto, permettendoci di accedere alla conoscenza e alla ricchezza delle figure che popolano la nostra psiche, grazie alla loro capacità di essere, di stare e raccontare. Prestandoci il loro modo di vedere noi stessi e il mondo. Dritto all’essenza.
Dott.ssa Michela Bianconi