La costruzione del reale. Introduzione:
Il primo giorno di lezione, vicino al fiume ancora immerso nell’alba, il vecchio Soseki chiese a Yuko di chiudere gli occhi e di immaginare il colore.
“Il colore non è all’esterno. Esso è in noi. Solo la luce è fuori”, disse. “Cosa vedi?”.
(M. Fermine, Neve, 2000, pag 64)
E’ una convinzione piuttosto diffusa il pensare che il mondo si presenti a noi come una sorta di fotocopia fedele della realtà. Che tutto ciò che noi percepiamo sia in qualche modo già presente nell’intorno, in una perfetta coincidenza di realtà fisica e realtà percettiva. Eppure non sempre funziona così. Ad esempio: può essere presente a livello fisico uno stimolo che non compare a livello percettivo. Come accade nel caso di animali mimetizzati. Oppure, al contrario, è possibile che siano operanti a livello percettivo stimoli che invece non sono presenti nella realtà. Come quando abbiamo l’impressione che qualcuno ci stia dicendo qualcosa, ma non è così.
La costruzione del reale. La definizione di percezione:
In psicologia generale, la percezione è descritta come un’organizzazione immediata, dinamica e significativa di informazioni sensoriali corrispondenti a una data configurazione di stimoli, delimitata nel tempo e nello spazio[1]. E che contribuisce, così, a strutturare un mondo fenomenico unitario, coerente e significativo[2].
Una definizione, questa, che sembra ricalcare molto bene quanto affermato in filosofia dagli empiristi e da John Locke. Nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu. Nulla è nell’intelletto che prima non sia nei sensi. Il che giustificherebbe la prossima battura di Yuko, protagonista di Neve (2000).
“Nulla. Con gli occhi chiusi vedo solo del nero. Perché, voi no?”.
Ma non quella del vecchio Soseki, il Maestro non vedente a cui il giovane poeta si è rivolto per apprendere l’arte del colore. E applicarla alla propria scrittura, fin troppo candida e fredda.
“No,” rispose Soseki. “Io vedo ancora il blu delle rane e il giallo del cielo. Allora, chi è il più cieco tra noi due?”.
Qual è, dunque, il pezzo mancante?
La costruzione del reale. Etimologia di “percezione”:
Forse è la stessa parola che può venirci in aiuto, in questo senso. Percezione, etimologicamente per + capere. Un prendere che richiede un veicolo del tutto particolare. Che sia caratterizzato dal per, associabile al fahr tedesco, e che richiami l’antico “moto per luogo” dei latini. Un veicolo, cioè, che si lasci attraversare dalla sensazione e che, in un certo senso, ce la renda “visibile” e conoscibile.
Yuko avrebbe voluto dirgli che il cielo non è giallo, né le rane sono blu, ma si astenne da qualsiasi commento. Forse il vecchio era ammattito. O semplicemente rincitrullito. Non voleva contrariarlo.
Ma di cosa si tratta?
“Maestro,” disse, “comincio a vedere”.
“Cosa vedi?”.
“Vedo il rosso degli alberi”.
“Sciocco,” disse Soseki. “Questo è impossibile. Qui non ci sono alberi[3]”.
La costruzione del reale. Il luogo dell’accadimento psichico:
È Leibniz a venirci incontro, in questo senso, completando e rispondendo polemicamente a quanto già affermato da Locke. Se nulla è nell’intelletto che prima non sia nei sensi, che ne è dell’intelletto stesso? Il luogo dei nostri accadimenti psichici e delle nostre percezioni smette di esistere quando il mondo esterno non gli fornisce stimoli?
La risposta è: assolutamente no. E fu lo stesso Freud il primo ad accorgersi di questo meccanismo, quando, cercando di spiegare la nascita della psiche, giunse a illustrare come anche in assenza di un oggetto esterno, l’individuo inizi fantasticare su di esso. Semplicemente basandosi su un’immagine interna.
Pensiamoci.
Siamo colti da un irrefrenabile desiderio di pizza solo quando, passando davanti a un ristorante, ne percepiamo l’odore? Oppure la voglia di pizza può giungere anche diversamente, spingendoci, di conseguenza, ad attivarci per ottenerla?
La costruzione del reale. Il primato dell’immaginazione:
L’esempio sembra sciocco, ma è calzante e ci porta a riflettere su un aspetto imprescindibile per la Psicologia Archetipica. Il primato, cioè, dell’immaginazione, intesa sia come capacità autonoma della psiche di creare immagini (esprimendosi attraverso di esse), sia come possibilità di trasformare l’immagine in azione.
Citando James Hillman:
In principio è l’immagine. Prima viene l’immagine e poi la percezione; prima la fantasia e poi la realtà…L’uomo è in primo luogo un artefice di immagini e la nostra sostanza psichica è formata da immagini; il nostro essere è un essere immaginale, un’esistenza nell’immaginazione[4].
Legittimo, a questo punto, chiedersi che cosa s’intende, però, per IMMAGINE.
Il concetto di immagine:
Per immagine io intendo non soltanto una immagine grafica o visiva, ma un insieme di percezioni, pensieri, idee, emozioni, comportamenti, relazioni, interazioni e identità che sono direttamente organizzate da un motivo centrale secondo diverse combinazioni e variazioni[5].
Le immagini fantastiche, insomma, sono allo stesso tempo le materie prime e i prodotti finiti della psiche e costituiscono il modo privilegiato d’accesso alla conoscenza dell’anima, intendendo per “anima”, prima di tutto, più che una sostanza, una prospettiva, una visuale sulle cose. La Psiche.
Conclusioni:
È come se, detta in altri termini, le immagini costituissero una sorta di vocabolario della psiche. Un linguaggio attraverso il quale essa può esprimersi, così come noi costruiamo frasi con le parole. Le frasi le utilizziamo per raccontare all’esterno e raccontare a noi stessi gli stimoli che ci accadono. Le immagini, alla psiche, servono per lo stesso identico scopo. Inviare messaggi come se fossero versi di un haiku, un breve componimento poetico di tre versi e diciassette sillabe. Completo in se stesso e a volte un po’ difficile da comprendere. Ma dotato di un’immensa ricchezza.
“Che cos’è la poesia?” domandò il monaco.
“E’ un mistero ineffabile,” rispose Yuko.
Un mattino, il rumore della brocca dell’acqua che si spacca fa germogliare nella testa una goccia di poesia, risveglia l’animo e gli conferisce la sua bellezza. E’ il momento di dire l’indicibile. E’ il momento di viaggiare senza muoversi. E’ il momento di diventare poeti.
Non abbellire niente. Non parlare. Guardare e scrivere. Con poche parole. Diciassette sillabe. Un haiku.
Un mattino, ci si sveglia. E’ il momento di ritirarsi dal mondo, per meglio sbalordirsene.
Un mattino, si prende il tempo per guardarsi vivere[6].
La nostra è una realtà immaginale. Una realtà costruita nell’immaginazione e dall’immaginazione.
Dott.ssa Michela Bianconi
Bibliografia:
[1] L. Anolli e P. Legrenzi (2001), Psicologia Generale, Boligna, Il Mulino, pag. 49.
[2] Idem.
[3] M. Fermine (2000), Neve, RCS Libri S.p.A., Milano, Bompiani, 2008. Ed. Illustrata, pag. 64-65.
[4] Hillman, James (1975) Re-visioning Psychology, trad. it. Re-visione della Psicologia, Milano, Adelphi edizioni s.p.a., 1983. Quarta edizione: novembre 2008.
[5] R. K., Papadopulos, L’umwelt, Jung e le reti di immagini archetipiche, in Rivista di Psicologia Analitica, 2008, n. 26, Astrolabio Ubaldini, Roma, p. 117.
[6] M. Fermine (2000), Neve, RCS Libri S.p.A., Milano, Bompiani, 2008. Ed. Illustrata, pag. 16.