Premessa:
Un discorso su un fenomeno naturale catastrofico come il terremoto necessita di attenzione massima, soprattutto se posto in relazione all’impatto sulla vita degli individui. Ogni considerazione di fronte ad eventi di tale portata risulterebbe superflua rispetto al sostegno concreto da offrire a chi ha perduto persone care o la propria abitazione come avvenuto e avviene in situazioni di calamità naturali. Con la delicatezza dovuta nei confronti della sofferenza che questo evento ha generato negli abitanti delle zone colpite dal sisma, proveremo a rendere onore all’Anima del mondo, per cui mi addentrerò nella riflessione psicologica e proverò, con i miei strumenti da psicoterapeuta archetipico, ad osservare analiticamente gli eventi esterni considerandoli così come propongono Hillman in epoca più recente, e prima Carl Gustav Jung, come eventi che allo stesso tempo sono esaustivi nel raccontare la psiche nelle sue “profondità”.
Ci occuperemo di profondità psicologiche partendo da un presupposto che è parte integrante della teoria archetipica, il lavoro sull’immaginazione come espressione profonda della psiche tanto individuale quanto collettiva. James Hillman ha sottratto la psicologia a coloro che l’avevano ridotta a una scienza del comportamento – con il corredo di programmi di ricerca, studi quantitativi e rigidi sistemi concettuali – e ne ha fatto un discorso, o un’arte dell’anima-psiche, che, rinunciando a ogni fantasia di cura e di guarigione, intende esplorare le basi più profonde e misteriose della vita[1]. Quindi il sisma nella sua componente metaforica può divenire oggetto di analisi psicologica: e quando la psicologia guarda in trasparenza lo fa utilizzando il punto di vita dell’immagine, che è direttamente collegata all’esperienza interna che gli individui fanno del contenuto. Questa esperienza, dell’anima, è connessa a uno scopo solitamente trasformativo.
L’Anima e le profondità:
La psicologia e la psicoterapia cosiddetta del “profondo” presuppongono una teoria e un metodo per accedere alla vita psichica considerandone tutte le forme d’espressione come manifestazione dell’anima, lo scopo terapeutico sarà fare esperienza del profondo del nostro essere, andare alla nostra essenza, prendere contatto con le nostre profondità. Ma queste profondità come si palesano alla nostra vita psichica? Sappiamo da Jung che le profonde strutture della psiche risiedono nell’inconscio collettivo e vengono chiamate archetipi. Gli archetipi plasmano l’immaginazione e le immagini che affiorano dal profondo della nostra anima, coincidono con la psiche stessa[2].
Hillman ci parla dell’Ade, dove albergavano le anime dei defunti, come metafora delle profondità della nostra anima; i miti greci lo collocano nel ventre della terra. Come vuole il mito del mondo infero “scendere” è la via maestra che conduce nel regno delle anime, della psiche profonda. Infero è una qualità, o meglio una prospettiva della vita psichica, che si contrappone al senso esistenziale proiettato nella superficie e distaccato dalla nostra vera essenza. La psicologia archetipica, che studia il profondo psichico con le immagini, si propone di accedere attraverso l’immaginazione all’anima individuale e a quell’ Anima Mundi di cui parlavano gli esponenti del Neoplatonismo.
Hillman ci spiega cosa si intende per Anima:
In un mio precedente tentativo di definizione, ho detto che il termine – anima – potrebbe indicare quella componente sconosciuta che rende possibile il significato, che trasforma gli eventi in esperienze, che viene comunicata nell’amore e che ha un’ansia religiosa. Avevo già proposto queste quattro caratteristiche alcuni anni fa e allora avevo preso a usare tale termine liberamente, per lo più in modo interscambiabile con psychè (dal greco) e anima (dal latino). Ora vorrei aggiungere tre indispensabili modifiche. In primo luogo, “anima” si riferisce all’approfondirsi degli eventi in esperienze; secondo luogo, la densità di significato che l’anima rende possibile, nell’amore o nell’ansia religiosa, deriva dal suo speciale rapporto con la morte. In terzo luogo, per anima, io intendo la possibilità immaginativa insita nella nostra natura, il fare esperienza attraverso la speculazione riflessiva, il sogno, l’immagine e la fantasia – in breve, quella modalità che riconosce ogni realtà come primariamente simbolica o metaforica”.[…]“Ciò che propongo è sia una base poetica della mente sia una psicologia che abbia il suo punto di partenza non nella fisiologia del cervello, non nella struttura del linguaggio, non nell’organizzazione della società o nell’analisi del comportamento, bensì nei processi dell’immaginazione[3].
Come possiamo osservare parafrasando Hillman la psiche è connessa con il senso e il significato dell’esistenza. Ed è connessa direttamente alla morte e al profondo come modalità di esperienza dell’esistere. In netta contrapposizione con la tradizione razionalistica e brillante di Cartesio, che configurava il pensiero razionale come base dell’esistere (cogito, ergo sum), spogliando di fatto la psiche della sua capacità riflettente e attribuendo la ragione alla funzione egoica. Invece Hegel, frainteso dai più, è a mio parere vicino alla definizione di Hillman. Il filosofo tedesco sosteneva che “reale” fosse il pensiero razionale ed intendeva parlare non di Realitat (realtà empirica e concreta) ma di Wirklichkeit, la realtà effettiva o essenziale depurata dalle nostre proiezioni: un inno al senso dell’anima che ci guida dritta all’essenziale. Uso i termini essenziale, anima e profondità in questa sede in modo interscambiabile, perché la psiche che approfondisce, è riflettente e riflettendo i propri contenuti (le immagini archetipiche) risulta essenziale, libera da nevrosi; come direbbe Eraclito: anima secca la più saggia, la migliore[4].
Le profondità possono subito essere associate alla terra e l’acqua, il sottosuolo e gli abissi marini sono esempi naturali e concreti che presuppongono la prospettiva del profondo. Da processi immaginativi simili la psiche arcaica del mondo greco produsse le divinità greche Demetra e Poseidone, le cui caratteristiche simboliche risultano connesse con l’idea del sisma; l’una riconosciuta come la dea “Madre Terra” e l’altro come dio del Mare, dei terremoti e dei maremoti. Entrambi archetipi del profondo, sono espressioni immaginali dei tumulti dell’anima e dell’istinto. Proprio il dio del mare ci dice Kerenyi[5] fu intimamente legato a forme animalesche rispetto a Zeus, considerazione che ci porta ad immaginarlo come divinità connessa alla natura essenziale e alla spontaneità delle immagini della psiche.
Terra e acqua come due sposi, e numerosi sono i miti che raccontano degli incontri tra Demetra e Poseidone, forniscono una coniuctio oppositorum (congiunzione degli opposti), metafora alchemica dell’armonia, dispensatrice di trasformazione e fecondità: l’acqua diventa seme per la nutrice che offre i frutti della natura.
Eraclito in uno dei suoi frammenti associa l’anima proprio alla dinamica trasformativa che accomuna la terra e l’acqua: Per le anime è morte diventare acqua, per l’acqua diventare terra è morte; ma dalla terra nasce l’acqua, dall’acqua l’anima[6]. È noto altresì come il dio del mare potesse generare sorgenti d’acqua con un colpo del suo tridente sugli scogli, l’essenza della vita psichica (anima) che sgorga dalle profondità della terra. Quindi i termini morte – anima – acqua e terra sono espressioni immaginali delle capacità trasformative insite nella nostra profonda essenza, sempre orientata, in qualsiasi suo rendersi palese, all’equilibrio e al benessere degli individui.
L’immagine del terremoto dentro la psiche:
Come agisce l’immagine del terremoto dentro la psiche e quindi inteso come idea pervasiva o sogno? Per fare questa riflessione psicologica è fondamentale considerare che la psiche profonda, come quella arcaica, considera gli eventi esterni come esperienze allo stesso tempo interne: il sole che sorge è la mia nascita, il sole che tramonta è la mia morte, un’intera vita in un solo giorno. Senza illusorie certezze, l’uomo era immerso nell’archetipo della vita indistruttibile che si esprime nel ciclo morte e rinascita. Esiste, dunque, per la psicologia un’esperienza concreta del fenomeno terremoto e parimenti la sua immagine che agisce all’interno. Allo stesso modo di come agisce nella concretezza, il terremoto è una forza che dalle profondità scuote le nostre case, espressione delle nostre certezze e della nostra incrollabile fede nelle sovrastrutture psicologiche che pensiamo ci possano proteggere: convinzioni, valori, idee, pensieri, relazioni, rapporti, routine. Tutta la forza trasformatrice e creatrice che ha il suo epicentro nelle profondità del mondo infero preme per palesarsi nella nostra vita psichica, come l’acqua che sgorga dagli scogli colpiti dal tridente del potente Poseidone. L’immaginazione de-stabilizza, rompe gli equilibri precari, preme, scuote e percuote, rendendo liquide le nostre pietrosità. L’uno inizia il processo trasformativo, Demetra lo conclude con la rinascita da una condizione di azzeramento: infatti ciò che è stato distrutto dovrà essere ricostruito, in modo migliore e più saldo. Ma prima della rinascita bisogna fare i conti con la mortificazione e soffrirne gli effetti dolorosi e necessari.
L’istinto e il materno:
Jung era convinto che istinto e archetipo fossero strettamente correlati, infatti l’immagine originaria viene considerata come intuizione che l’istinto ha di sé stesso o come auto raffigurazione dell’istinto[7]. L’autore svizzero in questo modo offre un’idea di immaginazione archetipica come attività istintuale e spontanea della psiche.
Così come nel mondo contemporaneo, il terremoto come fenomeno naturale, è stato oggetto di esperienza diretta anche nelle epoche arcaiche, così come tutti gli eventi naturali nella loro maestosa incontrollabilità. La funzione aleatoria è esperienza imprescindibile della condizione dell’umanità agli albori della sua esistenza, e la potenza della natura era concepita come il prodotto di entità divine che operavano in ogni manifestazione della loro potenza, ed è assai probabile che le potenze disgreganti del mondo interno e del mondo esterno, rendevano l’uomo parecchio sperduto e costantemente immerso in un continuo tumulto. Le prime certezze sulla propria esistenza provennero probabilmente dall’esperienza di poggiare i piedi per terra, e la Terra dunque divenne la Madre di tutto, la prima divinità arcaica, così protettiva e feconda ma allo stesso tempo terribile come ci spiegano Jung e Neumann nei rispettivi saggi sull’archetipo della Grande Madre[8]. La terra rappresentava inoltre la concretizzazione del “dentro” e dell’intimità con le prime abitazioni all’interno delle grotte, un vero e proprio ventre materno, e anche del “fuori” con la splendida e spietata legge della natura. La prima esperienza della propria anima l’uomo la proietta sulla madre terra come espressione di tutto ciò che serve alla sopravvivenza (stabilità, rifugio e protezione, cibo) invece oggi, in condizioni di vita meno aleatorie, l’archetipo della madre diventa funzione interiore che promuove il benessere psicologico. La terra, spogliata della sua sacralità, è ormai un oggetto di cui l’uomo crede di poter disporre, ne ha volutamente scordato la dimensione ontologica, cioè il suo esistere a prescindere dall’esperienza umana.
Anna Marson nel suo Archetipi di Territorio (2008) affronta il problema dello sfruttamento della terra che è passata da dea madre a merce da utilizzabile per scopi di lucro; la considerazione del suolo come proprietà degli umani è contenuto ormai assodato da tempi antichissimi, tanto da destare l’indignazione di Plinio il Vecchio che in Storia Naturale, XXXIII, 3, rispetto allo sfruttamento eccessivo delle miniere per estrarre metalli preziosi, si esprime in questi termini: Quelle che ci rovinano e ci conducono agli inferi sono le ricchezze che la terra ha nascosto e sepolto nel suo seno[9]. Marson parla dell’archetipo della Madre Terra intesa come dispensatrice di doni e di come la dea madre abbia dispensato ricchezza fino a determinare per millenni le condizioni essenziali senza cui non sarebbe stato possibile pensare alla vita come la conosciamo. Ma fin da tempi antichi, l’Homo Sapiens cosiddetto moderno ha soltanto sfruttato il suolo e il sottosuolo a scopi economici finendo per influire attivamente nello squilibrio dell’ecosistema.
Alcuni studiosi definiscono Antropocene (Shantser, 1973) l’era geologica, quella attuale, in cui l’attività umana è causa di modifiche territoriali, strutturali e climatiche. Simile considerazione può essere fatta per la speculazione edilizia, laddove la terra con le sue grotte forniva in natura il ventre in cui essere al sicuro, adesso il rifugio si trova in altezza, lontano e separato dalla magna mater, archetipo dell’accoglienza e della protezione. Le nostre abitazioni non rispecchiano più l’immagine della nostra esigenza di rifugio e calore ma diventano rappresentazione concreta delle sovrastrutture psicologiche con cui l’uomo moderno identifica il proprio funzionamento psichico, dimenticando l’anima che soggiace ad ogni nostra esperienza profonda. Vivere in distacco dalla terra significa inflazionare la superficialità a discapito delle profondità. In un certo senso se ci priviamo della nostra capacità istintuale, e per istinto qui facciamo riferimento alla definizione che ci dona Jung proposta all’inizio del paragrafo, ci viene a mancare la terra sotto i piedi, e allora forse anche il modo con cui ci proteggiamo viene disconnesso dall’archetipo materno: finiamo per proteggerci attraverso illusorie certezze fatte di abitazioni solo in apparenza sicure, distaccandoci dalla terra/natura concreta lo abbiamo fatto anche a livello immaginale, abbandonando gli istinti e confinandoli nell’osservazione dei pattern of behaviour del regno animale che come gli archetipi, sono necessari al mantenimento della vita al patto che si resti in connessione con la natura che li ha generati.
Terremoto. Conclusioni:
Concludo proponendo, a tal proposito, un curioso episodio viene riportato dal filosofo Claudio Eliano nel suo testo La natura degli animali (XI, 19). Verso il 373 a.C. la città greca di Helike, in seguito a un violento terremoto, venne sommersa da uno tsunami:
Per cinque giorni tutti i topi, le martore, i serpenti, i centopiedi, gli scarafaggi e le altre creature simili lasciarono in massa la città. Il popolo di Helike osservava stupefatto il fenomeno, ma non riusciva a capirne la ragione. Dopo che tutte queste creature se ne furono andate, ci fu un terremoto notturno. Quindi la città sprofondò e un’immensa onda la travolse fino a farla scomparire. Anche tre navi spartane all’ancora andarono perdute insieme a Helike[10].
In un articolo pubblicato su Rivistanatura.com (2018), Giraboldi scrive: Gli animali sono o non sono in grado di segnalarci, con il loro comportamento, l’imminenza di una catastrofe naturale e in particolare di un terremoto? Da anni ricercatori di moltissimi paesi (Giappone, Cina, USA e anche Italia) stanno tentando di trovare una risposta convincente e soprattutto scientifica alla questione, che rivestirebbe indubbia importanza e utilità pratica. Tuttavia gli studi sugli animali come precursori o “profeti” sismici ancora oggi non hanno fornito risposte definitive, seppure la maggioranza degli scienziati, va subito detto, sono molto scettici sulla possibilità di codificare con certezza comportamenti di questo tipo[11].
Anche in questo articolo pubblicato in due parti ci sono gli episodi narrati da Eliano (nell’articolo la fonte viene attribuita a Diodoro), di Plinio il Vecchio citato in precedenza che narra dell’agitazione degli uccelli prima dell’eruzione del Vesuvio (79 d.C.), del geologo Deodat de Dolomieu che informa sull’ululare incessante dei cani prima del terremoto di Messina del 1783. Più recente il caso del terremoto in Cina (Regione Liaoning, 1975), in cui le autorità cinesi istruirono le popolazioni a monitorare il comportamento animale ed altri segnali naturali per raccogliere dati da più fonti in virtù del fatto che si aspettavano un terremoto. Dedussero che la scossa fosse imminente e poterono organizzare in anticipo lo spostamento delle persone dalle loro case in ricoveri di emergenza. Giraboldi riporta che alcuni ricercatori dell’università di Perugia hanno potuto constatare che, nel caso del terremoto che ha colpito l’Aquila la quasi totalità dei cani che vivevano nella regione colpita hanno mostrato irrequietezza, abbaiando, ululando e piangendo nei minuti precedenti la scossa. Le specie che hanno messo in evidenza comportamenti anomali, come irrequietudine, spostamenti in massa, abbandono improvvisi di nidi e tane sono state documentate: api, lombrichi, millepiedi, serpenti, rospi, topi, talpe, pesci di fondo (pesci gatto, siluri, carpe), balene e cetacei, cani, gatti, maiali, bovini, ovini, capre, polli, ungulati selvatici, uccelli selvatici.
Dunque sono varie le documentazioni in cui si riferisce che il sesto senso degli animali è insito nella natura della vita come senso di connessione con il mondo in cui viviamo. Jung ne parlava in termini di sincronicità, e in seguito Hillman parlerà del dio Pan, che significa “tutto”, come prospettiva archetipica della sincronicità: A maggior ragione, Pan può avere un ruolo nella sincronicità, in generale, giacchè questo Dio, similmente alla sincronicità, connette la natura dentro di noi con la natura là fuori. Ancora una volta, la fantasia della sincronicità secondo Jung e la fantasia immaginaria di Pan dicono la stessa cosa[12]. Ma sappiamo da Plutarco che il grande Pan è morto[13], nella moderna concezione dell’esistenza. Riscoprire la prospettiva di Pan ci metterà nelle condizioni migliori di riconoscere i segnali della natura fuori da noi e cogliere le metafore della natura dentro di noi per evitare che la nostra vera essenza si tramuti in un terremoto interiore, così come consigliato dal maestro di tutti i saggi, Socrate: O caro Pan, e voi altri dei che siete in questo luogo, concedetemi di diventare bello di dentro, e che tutte le cose che ho di fuori siano in accordo con quelle che ho dentro.
Dott. Pierluca Nicolò.
Note:
[1] https://www.adelphi.it/libro/9788845912320,
[2] Cfr. C., G., Jung,1916, Spirito e vita, Opere vol. 8, Bollati Boringhieri, Torino, 1994, p.351
[3] J., Hillman,1975, Re-visione della psicologia, Adelphi Edizioni, 1992, Milano, pp. 14-17.
[4] Eraclito, a cura di A., Tonelli, Dell’origine, frammento n. 114, p. 187.
[5] K., Kerenyi, 1958, Gli dei e gli eroi della Grecia, Il Saggiatore, Milano, 2015, p.156
[6] Eraclito, a cura di A., Tonelli Dell’origine, frammento n. 112, Feltrinelli, Milano, 1993, p.185.
[7]Cfr. C., G., Jung, La dinamica dell’inconscio, Opere 8, Bollati Boringhieri, Torino, 1994, p.154.
[8] Cfr. C., G., Jung, 1912/1952, Simboli della Trasformazione, Boringhieri, Torino, 1980.
Cfr. E., Neumann, 1955., La grande madre, fenomenologia delle configurazioni femminili, Astrolabio, Roma, 1981.
[9] Plinio Il Vecchio, a cura di A., Corso, R., Mugellesi, G., Rosati, Storia naturale. Con testo latino a fronte. Vol. 5: Mineralogia e storia dell’Arte. Libri 33-37, Einaudi, Torino, 1997.
[10] C., Eliano, a cura di F., Maspero, La natura degli animali, Rizzoli, Milano, 1998.
[11]A., Giraboldi, parte prima, Terremoto, gli animali sono davvero profeti sismici? Parte seconda, Il sesto senso degli animali e le specie che predicono i terremoti, in La rivista della natura, www.rivistanatura.com, 13 dicembre 2018.
[12] J., Hillman,1972, Saggio su Pan, Adelphi, Milano, 1977, p.126.
[13] Plutarco (I-II sec. d.C.), De Defectu Oraculorum, in Triakonta, a cura di P., Agazzi, M., Vilardo, Zanichelli, Bologna, 2006.