Tokio 2020(21): grazie a Simone Biles, il benessere psicologico va in scena alle Olimpiadi.
Qual è il ruolo della psiche nelle performance atletiche? Quanto incide il rapporto che abbiamo con il nostro mondo interno nel raggiungimento dei nostri obiettivi? Il caso Simone Biles ha portato alla ribalta la questione del benessere psicologico durante i Giochi Olimpici di Tokio 2020(21).
Riflessioni durante le gare:
Ore 9.30 circa del 30 luglio 2021.
Semifinale olimpica di tiro con l’arco femminile. L’italiana Lucilla Boeri batte l’americana Mackenzie Brown, guadagnando una storica medaglia di bronzo.
Forse non tutti l’avranno notato, interessati, come del resto non si poteva non essere, a scrutare le frecce che si dirigevano, sfidando il vento, contro i bersagli e a fare il tifo per l’atleta “di casa”. Eppure in basso, sullo schermo, spostato leggermente a sinistra, ad ogni scoccata, compariva una scritta decisamente interessante: BPM (Battiti cardiaci Per Minuto). Correlata, sempre, da un numero che spesso variava tra i 140 e i 150, non giustificabile, quindi, con lo sforzo fisico. Ricordiamo qui, infatti, che la frequenza cardiaca di un adulto sano, a riposo, è di circa 60-100 battiti al minuto e che un nuotatore sotto sforzo (che nuota 100 metri in un tempo di circa 1 minuto e 37 secondi) ha un ritmo di circa 115 BPM.
Cuore arcieristico:
Ben lungi dal voler paragonare il funzionamento del cuore in atleti che svolgono discipline così tanto diverse l’una dall’altra, risulta tuttavia spontaneo, a questo punto, chiedersi allora perché un arciere, che prevalentemente sta fermo (escluso lo sforzo della parte superiore del corpo, nel tendere l’arco, che è assolutamente non trascurabile) arrivi ad avere un battito così accelerato.
Di certo, è quasi impossibile affermare che tiro con l’arco sia uno sport di potenza muscolare o di agilità. Non si può negare, però, d’altra parte, che sia un’attività di pura concentrazione, dove un ruolo fondamentale, stando anche a uno studio del 2014 (consultabile cliccando qui) è tenuto dal rapporto tra sistema nervoso simpatico (la cui attivazione accelera il ritmo cardiaco) e sistema nervoso parasimpatico (responsabile del ripristino del corpo al suo normale funzionamento). Entrambi legati al così detto meccanismo di fight or flight. Espressione con la quale s’intende la serie di risposte fisiologiche che il nostro corpo innesca quando sente di trovarsi di fronte a un pericolo (accelerazione cardiaca, aumento del ritmo del respiro, tensione muscolare, aumento dell’attenzione e della vigilanza), proprio per predisporre una reazione di attacco (fight) o di fuga (flight).
Fight or Flight….
Un autentico retaggio della nostra antichissima discendenza animale che, ad oggi, ci aiuta a reagire ogni volta che siamo chiamati a gestire una situazione potenzialmente stressante. Di fronte a un pericolo reale, come quello di ferirsi o danneggiarsi in qualche modo. O immaginato, come quello di arrivare tardi a un appuntamento, di fare una brutta figura…o di perdere una delle gare più importanti della propria carriera di atleti.
È così che il nostro essere animali si ricollega al nostro essere prettamente umani, grazie alle emozioni e, soprattutto, attraverso l’ansia.
Simone Biles e il benessere psicologico:
Ansia che, in questi giorni, abbiamo visto agire (e non agire) in modi variegati e quasi antitetici l’uno dall’altro, a tratti donando un’energia pazzesca, ottimizzando al massimo un risultato, come più volte abbiamo sentito dire parlando di “magia delle Olimpiadi”, a tratti facendo il contrario, inducendo errori, goffaggini, rallentando, fino a bloccare del tutto, com’è accaduto nel caso clamoroso della giovane ginnasta statunitense Simone Biles, addirittura costretta a rinunciare alle gare, per via di “demoni nella testa” chiamati twisties. Si tratta, in questo caso, di un disturbo che, nel gergo tipico della ginnastica artistica, indica un senso di vuoto, quasi una sensazione di galleggiare nello spazio, correlato ad una perdita di consapevolezza della propria presenza e di qualsiasi punto di riferimento. Qualcosa di davvero molto rischioso, insomma, in uno sport dove la potenza del movimento si coniuga con l’eleganza in salti acrobatici ed equilibrismi!
Ansia: sintomo che blocca?
E stata per l’ansia, dunque, che l’Olimpiade ha perso una delle sue migliori atlete in gara.
E perché, in fondo, anche i campioni sono esseri umani.
Come ha affermato la stessa Biles, infatti, negli ultimi mesi la pressione su di lei è aumentata sempre di più, fino a farla sentire come se avesse “il peso del mondo sulle spalle”: un aspetto che ricalca il mito del titano Atlante, condannato da Zeus a questa stessa punizione, dopo essersi ribellato al riconoscimento del potere degli Dèi (chiamati, guarda caso: Olimpici), per privilegiare se stesso e il proprio benessere personale. Un atteggiamento di sfida, che i greci definivano con un termine eccezionale: hybris, un’orgogliosa coscienza di se stessi, come se fosse davvero ciò che facciamo e come appaiamo agli occhi degli altri a contare, piuttosto che ciò che siamo.
Atleti. Il trionfo degli eroi dei nostri giorni:
Del resto, è così sottile la linea di demarcazione tra atleta ed eroe.
Nel nostro piccolo, lo abbiamo visto quando la Nazionale di Calcio guidata da Mancini ha vinto gli Europei: osannati in trionfo per le strade di Roma, come gli antichi generali romani di ritorno dalle guerre al confine. Ci beiamo e ne beviamo da questa coppa vinta. E quanto orgoglio, quanta festa!
Giustamente osanniamo coloro che portano gloria ai colori della nostra bandiera.
Ma dimentichiamo un aspetto: l’ultimo elemento del cerimoniale del trionfo. Uno dei più importanti: lo schiaffo che riportava al senso dell’essere umani e il cui scopo era proprio quello di scongiurare la hybris, evitando l’elevamento dell’uomo a divinità.
Torniamo umani!
Torniamo umani, allora.
E torniamo a noi stessi.
Come ha scritto la stessa Simone Biles: riscopriamo di essere qualcosa in più rispetto agli ori che si possono vincere, di essere altro, oltre che atleti. “Cosa che non avrei immaginato prima”.
Benessere psicologico: essere grati ai nostri sintomi.
Perché sì, in qualche modo, per quanto possano apparire fastidiosi, inopportuni e deludenti, dobbiamo, in fondo, essere grati ai nostri sintomi, poiché questi, come demoni, si fanno sempre messaggeri di un avvertimento: l’avvertimento, magari, che stiamo dimenticando di onorare noi stessi, l’avvertimento, magari, che, pur di perseguire uno scopo (più o meno nobile), da qualche parte ci stiamo dimenticando di noi. Non concedendo spazio ad aspetti della nostra vita che, in confronto all’obiettivo, possono sembrare trascurabili. Apparentemente.
“Ringrazio per tutto l’amore che ho ricevuto. Mi hanno fatto capire di essere qualcosa di più degli ori che ho vinto, cosa che non avrei mai immaginato prima”.
Il sintomo: messaggero con un compito da svolgere.
In fondo, come scriveva Jung: là dove c’è la tua paura, c’è anche il tuo compito.
Il compito che richiama ad essere noi stessi.
Il sintomo contiene una componente teleologica, cioè un progetto, una finalità evolutiva che, se accolto e compreso, può favorire la crescita dell’individuo e la sua realizzazione…I sintomi nevrotici insorgono soltanto quando non si può vedere l’altra parte della propria esistenza e l’urgenza dei suoi problemi. Solo a queste condizioni nasce il sintomo: esso fa sì che quella parte dell’anima non riconosciuta possa esprimersi.[1]
Proviamo, allora, a cominciare a vedere i nostri sintomi non tanto come demoni nella testa, che ci impediscono di fare ciò che vorremmo fare, ma come messaggeri che giungono, al termine di un lungo viaggio, per raccontarci qualcosa che dovremmo conoscere, dando voce a ciò che, fino ad ora, non ne ha avuta.
Il sintomo: uno strano alleato.
I nostri sintomi sono alleati di ciò che siamo, davvero, dentro di noi. E, come suggeritori a teatro, sono sempre pronti a sussurrarci all’orecchio quale nuova battuta siamo chiamati a declamare.
Se li accogliamo e li ascoltiamo, cercando di comprendere quale contenuto misterioso veicolano, non potremmo che trarne ricchezza.
Il sintomo contiene una componente teleologica, cioè un progetto, una finalità evolutiva che, se accolto e compreso, può favorire la crescita dell’individuo e la sua realizzazione[2].
Possiamo apprendere a essere grati ai nostri sintomi, se non da soli, ricorrendo all’aiuto di un professionista (clicca qui per avere maggiori informazioni sul nostro centro clinico)
[1] C., G, Jung, 1943, La psicologia dell’Inconscio, in Opere, vol. 8, Bollati Boringhieri, Torino, 2001, p. 132.
[2] C., G, Jung, 1943, La psicologia dell’Inconscio, in Opere, vol. 8, Bollati Boringhieri, Torino, 2001, p. 132.
Dott.ssa Angela Paris e Dott.ssa Michela Bianconi