Al momento stai visualizzando La ricerca dell’immagine, del contenuto, celato sotto la metafora.

La ricerca dell’immagine, del contenuto, celato sotto la metafora.

Condividi

“Quella che voi chiamate depressione, si chiama anima”.

Una frase, questa di Carlo Verdone, sulla quale si potrebbe parlare e scrivere per ore ed ore. Una frase che ci offre lo spunto per affrontare il delicato tema del linguaggio e dell’esigenza che ciascuno di noi ha di utilizzare termini che, in modo o nell’altro, diano una forma e un nome a ciò che, dentro, appare semplicemente troppo per poter essere descritto.

È l’esigenza del fare e del ricevere una diagnosi, che tutti, prima o poi, spinti da un qualche tipo di sintomo, manifestiamo o ricerchiamo, senza sapere davvero che diagnosi significa soprattutto conoscenza: conoscere attraverso, come se i nostri contenuti interni, come acqua inafferrabile, avessero davvero bisogno di un contenitore per poter esser resi visibili.

Eppure l’acqua non è la bottiglia. E così, c’è sempre qualcosa al di là delle parole che si utilizzano per descrivere. E questo senso dell’ “attraverso”, è proprio quello che caratterizza il particolare approccio archetipico agli altri linguaggi della psiche, siano questi linguaggi psicologici, medici o esoterico-culturali.
Ogni contenitore scelto ed utilizzato dalla psiche ha senso, nell’esser preso in considerazione, proprio perché in esso, e attraverso esso, è celato (al tempo stesso: posto in essere) un aspetto interiore desideroso d’esser conosciuto.
E così la psicoterapia diventa un’arte poetica, volta alla ricerca non dell’interpretazione ma dell’immagine, del contenuto, celato sotto la metafora.

“Qualcuno mi dice mi sento depresso. Io non so cosa voglia dire; è un termine vuoto, non ha nessun contenuto propriocettivo, nessuna immagine; e tuttavia è sovraccarico. La parola stessa è una formazione sintomatica, un compromesso con la depressione, che aiuta a reprimerla ammettendola soltanto in questa maniera vaga e astratta. In terapia mi piacerebbe che questa parola diventasse più precisa: come si sente il paziente? Vuoto, secco, triste, arido, bruciato, debole? Dove si sente depresso? Negli occhi? Vuole piangere, ha pianto? Nelle gambe? Sono pesanti? Il paziente non può né alzarsi né muoversi? Nel torace? Si sente ansioso, che sensazione prova? Dove, quando? È come essere legati o avvelenati? E che cosa succede negli intestini? Quali sono le fantasie sessuali? Qual è il colore dell’umore, la temperatura, il clima? – ci sono anche depressioni marziali, rabbiose e roventi” (James Hillman)

Lascia un commento